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“Abitare, il modo in cui noi uomini siamo sulla terra”

M.Heidegger (1929-1976)

In questo tempo severo di epidemia e di sospensione si sta manifestando in me la consapevolezza che oggi più che mai, non possiamo più permetterci di riversare sull’altro parole studiate ad arte per il marketing, parole strumentali volte a rendere indispensabile alla vita altrui ciò che la propria azienda può proporre o “parole chiave” che servono solo a far salire il gradimento Google.

Sicuramente questa pandemia sta mettendo in evidenza la precarietà dell’uomo e dei suoi progetti: teorie e sistemi si sgretolano e come una maschera cadono, mostrando un volto più vero di questa umanità.

Le illusioni crollano e uno spazio vuoto si apre di fronte a noi, questo vuoto fa paura, può essere angosciante ma sarebbe davvero da incoscienti tentare di riempirlo nuovamente con l’agitazione ed il rumore che fino a qualche mese fa ricoprivano come un velo malefico ogni istante vissuto su questa terra.

Se già prima del coronavirus, grazie alla scuola di mio padre, Giuseppe Rivadossi, la nostra tensione sia comunicativa che realizzativa nonché progettuale era comunque volta alla ricerca di un significato, di un valore da offrire all’altro, oggi ancor di più sento l’urgenza di non scendere a compromessi: il vero contributo che ognuno può offrire a questo mondo è la propria consapevolezza.

A tal proposito mi sono capitati sotto gli occhi alcuni appunti che presi al convegno “Arte, fede, memoria dei luoghi storico religiosi”, tenutosi a Venezia a giugno del 2018, mi colpirono in particolare alcune parole pronunciate da frate Adalberto Mainardi del Monastero di Bose e le offro a chiunque si prenderà la briga di leggere queste poche righe.

Frate Adalberto Mainardi ci ha offerto un piccolo saggio sulle origini del luogo monastico riuscendo però ad indagare l’archetipo dell’abitare nel suo nucleo di senso, riuscendo ad offrirci un contributo di fondamentale importanza per chiunque si stia seriamente confrontando con la dimensione dell’abitare.

Habito è il nome della nostra azienda e tutta la nostra poetica, o come si dice oggi, la nostra “vision” è incentrata su questo gesto: l’abitare.

Tutto il lavoro sugli archetipi di Giuseppe Rivadossi è sempre stato sorretto da una tensione intrinseca: l’architettura, il paesaggio interno ed esterno, la forma come momento di realizzazione in concreto, dello sguardo dell’umanità in merito al suo rapporto con il creato, con le risorse, con l’altro ed in ultima istanza con se stessa.

Forse mai come oggi l’abitare, come dimensione costitutiva dell’umano essere-nel-mondo, è messo in questione alla radice…”, “i non-luoghi delle megalopoli si saturano di strutture, attività, scambi spersonalizzati e deformanti; affollati ma non abitati…”

Qual è il senso di stare in un luogo? Che cosa significa abitare?”, si chiede Mainardi dalla sua esperienza monastica e noi con lui.

Rifacendosi alla genesi dei primi cenobi e monasteri, egli ci catapulta senza titubanze nella dimensione costitutiva dell’essere umano, che questa parola ha in sé: il primo luogo da abitare è il corpo, il primo passo è coltivare la capacità di stare con se stessi, la grande sfida che si para di fronte all’uomo che voglia camminare sulla strada del compimento, è avere prima il coraggio, poi la capacità ed infine la grazia di saper stare con se stesso.

Habitare secum” diventa la condizione costitutiva per ritrovare il nostro rapporto di verità con Dio e con il creato: se non sappiamo accogliere il selvaggio, l’oscuro, l’inabitabile che è in noi, nessun luogo ci potrà accogliere.

Certo è necessario un paziente itinerario, un esercizio (ascesi) della mente, una continua sorveglianza dei pensieri per rendere abitabile lo spazio interiore”, è una strada faticosa, ma è l’unica che ci consentirà di ritrovare il nostro legame con l’ambiente e con la vita.

La “pausa”, che stiamo vivendo, dai ritmi frenetici cui eravamo ormai assuefatti, quale occasione potrebbe essere per ritrovare una connessione più significativa con la vita, con la nostra vita?

“Fugge se stesso, porta in giro se stesso, cambia luogo, non l’anima, colui che non sa abitare con se stesso” Guglielmo di Saint Thierry (1085-1148)

Immagini:
In alto “La mia città” – primi anni ’70
In basso “L’alba, la terra, la mia casa” – 1976