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Habito, molto di più di un atelier di arredamento o di design

Accoglienza, riposo e rigenerazione con un linguaggio essenziale, vero e forte. In un mondo sempre più agitato crediamo sia fondamentale trovare oggetti, segni, luoghi che possano funzionare come ancore, che ci aiutino a ristabilizzare il nostro battito cardiaco: questo vuole realizzare Habito. Per questo non vogliamo limitarci a definire il nostro spazio come un atelier di arredamento o di design. Lo spazio Habito infatti vuole focalizzarsi sulla persona, perché ritrovi il suo centro: volumi e vuoti, strutture e materie prime saranno sapientemente organizzati per dare riposo e nutrire, per far sentire la persona a casa sua, per riconnetterla alle sue radici archetipiche.

Lo spazio Habito sarà caratterizzato da oggetti dalle forme semplici ed essenziali, realizzati con materie prime integrali e lavorate per far vibrare l’essenza della materia stessa. Questi oggetti saranno organizzati in sintonia con gli spazi da abitare, per creare ritmi e suggestioni orientate all’evocazione di relazioni primordiali e fondative.

Habito e la materia

La linea che vogliamo perseguire non è quella classica di un atelier di arredamento o di design, va oltre l’idea di costruzione di oggetti vendibili e fotogenici, perché prendiamo in considerazione il progettare ed il costruire come contributi concreti al futuro dell’uomo, vediamo il nostro lavoro come partecipazione ad una grandiosa opera cui l’uomo, tutti gli uomini sono chiamati: offrire un orizzonte di senso. La strada da percorrere per Habito è senza dubbio centrata sull’utilizzo di materie prime “archetipe” come il legno, il metallo, la pietra, lavorate secondo la loro propria natura e fisiologia con l’obiettivo di valorizzarne l’essenza stessa, di stimolare le loro vibrazioni primarie. Ogni materiale deve riuscire ad evocare il legame profondo dell’uomo con la natura. Le lavorazioni di superficie e le finiture, nonché i volumi, quando possibile, devono essere in grado di risvegliare le energie vitali che scorrono da sempre nell’animo dell’uomo.

L’uomo ha bisogno di verità e il primo gradino per accedervi è la terra madre, l’humus che nutre la vita. Da qui la volontà di far affiorare la delicata bellezza di ogni materia, ma anche la sua intrinseca forza, quindi in questo alveo ritrovare il linguaggio primordiale dell’architettura, quei tratti, quei volumi, quei ritmi spaziali che sappiano risvegliare la nostra prima esperienza del mondo.

I volumi e le strutture nelle opere Habito

In quest’orizzonte di diversità rispetto ad un canonico atelier di arredamento e di design, anche i volumi e le strutture possono avere questa capacità evocativa di fatti ed eventi connessi alla nostra prima esplorazione del mondo, a partire dall’essere contenuto e protetto, per arrivare infine a suscitare la tensione e l’intuizione di uno spazio nascosto alla vista ma disponibile alla fruizione, suggerire cioè l’esistenza di un luogo altro.

La natura con le sue manifestazioni ci rimanda sempre a qualcosa d’altro: pensate ad un tramonto e a quali ricordi o emozioni vi suscita. Così lo spazio Habito vuole aiutare la persona a ritrovare il suo posto in questo gioco di infiniti echi e rimandi, unica traccia del nostro cammino.

Di fronte allo sguardo originario, lo spazio è uno, è un fatto, un accadimento continuamente nuovo ma unico, è il “nostro fuori”, che però ci contiene, ci protegge e ci nutre, non solo fisicamente.

Ristabilire un ordine grazie agli oggetti di Habito

La prima operazione quindi è ristabilire un ordine: negli spazi domestici abbiamo la possibilità di ritrovare un senso cercando di farvi riecheggiare le relazioni fondanti.

Contro la frammentazione e la giustapposizione di oggetti gonfi di sé, arroganti, incapaci di relazione e muti, noi pensiamo sia essenziale proporre uno spazio significante e quindi unificante, e questo può avvenire solo cercando un ordine e una semplicità che ci riconnettano alle nostre origini, al nostro sguardo originario.

Fare ordine per ritrovare la possibilità di ricontattare la dimensione archetipa e riconoscere ciò che conta, ciò che è essenziale alla vita: non la rappresentazione di noi stessi ma l’evocazione delle relazioni che fondano la nostra vita.